Festival del Giornalismo d’Inchiesta: due serate ad alta tensione di Luca Falcetta

Nessuno vorrebbe vivere con la scorta, qualcuno potrebbe obiettare che però i politici ce l’hanno e non vivono così male, ma un conto è averla per il ruolo che si occupa di rappresentanti del popolo, un conto perché minacciati dalla mafia. Paolo Borrometi è un giovane giornalista siciliano condannato a morte dalla mafia e sotto scorta dal 2014 dopo aver subito un pesante pestaggio che gli ha lasciato dei segni nel corpo, ma soprattutto nell’anima. Le sue scomode inchieste hanno permesso di smascherare azioni criminali e portato agli arresti di numerosi esponenti di clan mafiosi. 

Originario di Modica, vice direttore dell’Agi, direttore del quotidiano web “La Spia”, collaboratore di TV2000 e presidente nazionale di Articolo 21, Paolo Borrometi è stato ospite della serata di apertura del Festival sul giornalismo d’inchiesta “Gianni Rossetti”, promosso dai circoli culturali Ju-Ter Club e + 76 e giunto alla nona edizione. 

Quest’anno il programma della rassegna curata dal neo direttore Claudio Sargenti, con il prezioso sostegno di Silvia Simoncini, è stato ridotto a due appuntamenti a causa del Covid. L’incontro con Paolo Borrometi ha visto anche la presenza dell’irreprensibile giornalista salentina Fabiana Pacella, sempre molto attenta nel portare avanti inchieste che riguardano la sua amata Puglia. Giornalista coraggiosa e tenace, non ha esitato a svolgere indagini e reportage sul panorama politico, imprenditoriale, economico e criminale pugliese. Lavoro che le è costato un incarico da addetto stampa e ritorsioni e querele temerarie per aver reso noti i collegamenti tra indagati eccellenti. Fare inchieste, specie in Italia, costa, un costo che incide sulla propria libertà e soprattutto sul benessere dei colleghi che le realizzano come ha evidenziato nel suo saluto di benvenuto il presidente della Confartigianato di Ancona-Pesaro e Urbino Graziano Sabattini che è stato ben lieto di ospitare il primo appuntamento nell’auditorium dell’associazione di categoria. 

Borrometi e Pacella non si sono sottratti alle mie domande e a quelle della collega Francesca Piatanesi di Rainews 24 per l’occasione moderatori della serata. Far capire il difficile mestiere del giornalista d’inchiesta non è mai semplice, soprattutto quando ci si imbatte contro la mafia e la criminalità organizzata, perché nel momento in cui si scoperchiano certi vasi di Pandora si rischia di perdere la propria libertà e la tranquillità a cui si era abituati. Borrometi ha saputo far luce sulla mafia invisibile che da tempo interessa anche la sua terra, e cioè la provincia di Ragusa che fino a non molto tempo fa veniva descritta come una sorta di isola felice. 

In realtà la mafia era sempre stata ben presente e radicata solo che era riuscita a mimetizzarsi facendosi passare per provincia “babba”, che tradotto in siciliano significa mite, ingenua, tranquilla.  Eppure nel suo ultimo libro “Un morto al giorno. La mia battaglia contro la mafia invisibile” (Solferino), Borrometi dimostra che invece sobbolle di illegalità. La vita di un giornalista d’inchiesta e sotto scorta condannato dalla mafia non è semplice, la paura di dover convivere ogni giorno con la morte e di non poter fare quello che fanno i propri coetanei è alleggerita soltanto dalla stima e vicinanza delle persone che si incontrano per lavoro o per testimoniare e raccontare il proprio lavoro giornalistico. 

Fabiana Pacella è stata l’autrice dell’inchiesta sull'Antiracket di Salento, sulla Bcc di Terra d’Otranto e di quella che ha portato al commissariamento per infiltrazioni mafiose del Comune di Carmiano. “Nonostante le minacce – ha raccontato - continua la mia lotta per la libertà di stampa, al sensazionalismo che anima molti miei colleghi preferisco anteporre la verità dei fatti senza aggiungere altro. Il nostro compito è raccontare cosa accade evitando di esprimere giudizi che spetteranno poi ad altri”. Borrometi e Pacella però non si occupano solo della criminalità organizzata, il collega siciliano infatti ha scritto anche il libro “Il sogno di Antonio”, la storia di un ragazzo europeo, Antonio Megalizzi, che è morto il 14 dicembre 2018, pochi giorni dopo la strage di Strasburgo in cui era stato colpito dai proiettili di un estremista islamico. Non si è spenta però la sua memoria di ragazzo vitale, un 'trentino di sangue calabrese', dolce e ironico con passioni intense: la famiglia, l’amore per la 'sua' Luana, ma anche la radio, i tanti progetti, la passione per la conoscenza e la scrittura. “Antonio aveva tanti sogni – ha ricordato Borrometi – ma non sognava a occhi aperti, lui non era un ingenuo. I suoi non erano di quei sogni che si dissolvono al risveglio. Faceva sogni concreti e non dava mai nulla per scontato”. A Borrometi è stato poi consegnato il premio alla carriera mentre a Fabiana Pacella quello “Giornalisti in prima linea”. Nel secondo appuntamento del festival, che si è svolto all’Hotel La Fonte, i giornalisti Rai Giovanni Pasimeni e Alessandro D’Alessandro hanno presentato in anteprima “Watchdog, l’infiltrato”, un’inchiesta sul narcotraffico che andrà in onda prossimamente su Rai Tre e in cui viene intervistato un agente infiltrato in un’organizzazione mafiosa. 

La criminalità organizzata ormai è presente in tutto il Paese anche in regioni considerate isole felici come la mostra, non a caso nei giorni scorsi su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia della procura di Reggio Calabria, la squadra mobile di Ancona ha perquisito e posto sotto sequestro un appartamento a Fabriano e un terreno a Frontone. Diventa quindi fondamentale per estirpare alla radice le bande criminali ricorrere ad agenti sotto copertura che permettono di conoscere dall’interno tutta l’organizzazione malavitosa, seguire le sue mosse e intervenire nel momento opportuno. “La criminalità - hanno detto i due autori - ormai ce la troviamo sotto casa, a Roma ci sono interi quartieri in cui la fa da padrona. Una situazione che si sta cercando di sradicare grazie al certosino lavoro delle forze dell’ordine come ha avuto modo di sottolineare Fausto Lamparelli, dirigente dello Sco, il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato. La mafia ormai non è più invisibile anche se si è annidata in importanti settori economici del Paese perché ormai il suo core business non è più lo spaccio delle sostanze stupefacenti.

Il questore di Ancona Giancarlo Pallini, che è intervenuto alla serata insieme al vice questore aggiunto di Osimo Stefano Bortone, ha ricordato il grande lavoro svolto dalla Polizia di Stato a tutela del territorio provinciale. La recente pandemia ha rallentato l’azione della criminalità, ma la guardia resta sempre alta per tutelare al meglio la comunità marchigiana. Lamparelli ha raccontato come si prepara un agente infiltrato, mentre Pasimeni e D’Alessando hanno annunciato l’avvio di un sito internet in cui raccogliere notizie e spunti di inchiesta da trattare poi nella serie “Watchdog”. I due giornalisti Rai hanno poi ricevuto dalle mani del direttore Claudio Sargenti il premio “Giornalisti d’inchiesta 2020”. 

L’anno prossimo si celebrerà la decima edizione del festival e gli organizzatori stanno già lavorando per una sera interamente dedicata al Covid con l’obiettivo di far luce sulla pandemia che sta ancora colpendo il mondo.

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