di Monica Orazi
Filottrano - Il fantasma di Giulio Andreotti, nell'immaginario collettivo ingiustamente perseguitato per nove anni, con l'accusa infamante di collusione mafiosa, è rivissuto nelle parole di Giancarlo Caselli, il superprocuratore, protagonista della serata di ieri al Festival del Giornalismo d'Inchiesta delle Marche. Intervistato dal giornalista Francesco La Licata, di fronte alla platea del cinema Torquis di Filottrano Caselli ha ripercorso decenni di vita, la lotta al terrorismo degli Anni 70, il processo Andreotti, la mancata nomina a procuratore capo antimafia, "sono l'unico caso di magistrato al mondo per cui è stata fatta una legge ad personam". La conversazione tra i due amici inizia con la "dirompente novità" del pool antimafia, l'epoca dei Chinnici, Caponnetto, Falcone e Borsellino che riescono a sconfiggere la mafia per la prima volta al maxi processo, grazie ad un innovativo metodo di lavoro, che prevede la centralizzazione e la specializzazione dei magistrati. Quando la mafia va a toccare gli interessi della politica, l'ex magistrato ormai da due anni in pensione, spiega come il gruppo di magistrati antimafia sia azzerato.
Le sue parole incalzanti ripercorrono gli anni del terrorismo, da lui affrontato in prima linea, per la cui sconfitta è stata decisiva la mobilitazione popolare, che ne ha prodotto il definitivo isolamento politico, l'anticamera della repressione penale. Le stragi di mafia hanno prodotto la reazione forte, anche tra la popolazione, gli strumenti adatti alla repressione nella legislazione, che hanno permesso ai magistrati di segnare importanti risultati nella lotta al cancro mafioso. Il dibattito si è poi spostato sulla "delega in bianco", lasciata dalla politica alla magistratura, per non affrontare problemi sociali, lasciati completamente nelle mani dei giudici. Caselli snocciola il terrorismo rosso, le stragi nere, l'Ilva, i giudici che fanno il loro dovere in "supplenza" della politica. Il discorso incalzante del giudice istruttore degli anni Settanta ed Ottanta, respinge al mittente dei mandanti politici l'accusa di "magistrati che fanno politica", difende le scelte legislative dei pentiti e del nuovo articolo di associazione mafiosa, come strumenti fondamentali per combattere il radicamento del fenomeno mafioso. Ritorna sul caso Andreotti, spiega con parole ferme e tenaci che è stato assolto per insufficienza di prove, che nella sentenza della Cassazione si ravvisa "sino al 1980 chiara responsabilità penale dell'imputato". Da Andreotti a Dell'Utri. "La Cassazione ha confermato che per due figure centrali, dello Stato e dell'imprenditoria, è stata accertata la collusione mafiosa. L'Italia non può cullarsi nell'amnesia di fatti così gravi, dobbiamo interrogarci su come si è formato il consenso nella nostra democrazia", ha detto di fronte alla platea Giancarlo Caselli. La “colpa” del processo al Divo Giulio, è stato secondo Caselli il peccato che gli ha impedito di diventare come sognava, procuratore capo antimafia. “Ne sono orgoglioso, perché sono stato punito per essere stato un magistrato troppo indipendente”, ha concluso il super procuratore, tra gli applausi scroscianti del pubblico, chiudendo una serata indimenticabile per questa quarta edizione del Festival.
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