I premi del 6° Festival sul Giornalismo d'Inchiesta portano la firma di Giannetto Magrini

“Scavare” è il titolo dell’opera che sarà consegnata ai vincitori del Premio inchiesta 2017. L’autore è un artista jesino – Giannetto Magrini – che è stato scelto dagli organizzatori del Festival del giornalismo d’inchiesta per la sesta edizione che si svolgerà dal 24 al 30 settembre a Osimo, Filottrano, Castelfidardo e Ancona. E’ consuetudine del Festival consegnare ai protagonisti delle serate anche un’opera d’arte che sia espressione della creatività di un figlio di questa terra.

Nelle precedenti edizioni l’artista prescelto è stato l’osimano Franco Torcianti, pittore e scultore, autore fra l’altro della monumentale scultura “Opus” (2002). Torcianti ha realizzato per il Festival un’acquaforte (tecnica in cui è maestro) incisa su lastra di zinco e stampata da lui stesso con torchio a mano su carta Graphia (Cartiera Sicart di Catania).   

Quest’anno l’artista è Giannetto Magrini, jesino, che ha realizzato opere uniche il cui titolo è appunto “Scavare”, ovvero proprio il ruolo che svolge il giornalista d’inchiesta che indaga, analizza i fatti, verifica, controlla e porta alla luce cose positive ma anche fatti e circostanze poco edificanti.

Un lavoro che Magrini ha realizzato con una tecnica molto particolare che prevede anche l’utilizzo della sabbia. Giannetto Magrini ha compiuto un lungo e complesso percorso artistico cominciato nella seconda metà degli anni Cinquanta, affascinato all’epoca dalle  opere giganti di Henri Matisse (Biennale di Venezia, 1956), uno dei maggiori esponenti del Fauvismo, una corrente artistica nata dal pittore simbolista Gustave Moreau, professore alla “Ecole des Beaux-arts” di Parigi, che spinse i suoi studenti a pensare al di fuori del solco della tradizione e a seguire le proprie visioni e le proprie emozioni.    

Magrini è affascinato dalla ricerca e dalle nuove forme espressive. Nel 1966-67 realizza le prime composizioni sperimentali, cioè le digitografie, una specie di anticipazione di quello che sarà lo sviluppo tecnologico di fine millennio. Poi si lancia nelle opere informali (che chiamerà “Strutture immaginifiche”) e nella ricerca del mistero e del miracolo della nascita della vita. Un artista che ha saputo tracciare strade innovative, sempre nell’ambito della sperimentazione, della ricerca e delle avanguardie. 

Nel 1983-84 scopre per caso vecchi modelli da fonderia, in legno, utilizzati da una fabbrica di macchine agricole di Jesi. Li acquista in blocco e li assembla a suo modo realizzando una serie di originalissime sculture.

Con il passare degli anni nell’arte di Magrini emergono anche l’attenzione, l’interesse e l’impegno verso il sociale. Dipinge quadri di grande formato sui temi di attualità, come ad esempio l’immigrazione clandestina.

Negli ultimi anni, un po’ in controtendenza con lo sviluppo tecnologico, punta la sua attenzione sul libro cartaceo. Per Magrini il libro resta il perno del sapere e della cultura e rifiuta l’idea che la tecnologia, l’elettronica e i nuovi strumenti di comunicazione possano trasformarlo in una specie di feticcio. Quasi un percorso alla rovescia per un artista che è stato un innovatore, un precursore dei tempi e un esploratore del nuovo. 

Negli ultimi anni ha effettuato una nuova sperimentazione utilizzando lastre di rame, ovvero il metallo che, con ogni probabilità, l’umanità usa da più tempo.  Magrini lavora il rame con acidi che tracciano sulla lastra macchie casuali che diventano la base per figure fantastiche.

Un’intensa attività creativa di oltre sessant’anni sintetizzata in quattro monografie con testi di Vittorio Sgarbi, Armando Ginesi, Gianni Rossetti, Marilena Pasquali, Ruggero Orlando, Filiberto Menna e Arianna Bardelli.

Le opere uniche di Giannetto Magrini saranno consegnate ai vincitori del premio inchiesta 2017, Sigfrido Ranucci (Report – Rai3) e Peter Gomez, direttore del “Fatto quotidiano.it” e di Millennium.




Biografia
Giannetto Magrini è nato a Jesi nell’ottobre del 1938. Vive e lavora nella sua città e ha lo studio in via Gorizia 1. La passione per l’arte è un “fuoco” che ha dentro, un richiamo istintivo, un’attrazione che stimola la sua curiosità e lo avvicina ai grandi maestri. Non aveva ancora compiuto diciotto anni quando decise, assieme a un caro amico (Gilberto Filippetti) di visitare la Biennale di Venezia. Era il 1956 e nel padiglione francese c’erano esposte opere giganti di Henri Matisse, uno dei maggiori esponenti del Fauvismo, una corrente artistica nata dal pittore simbolista Gustave Moreau, professore alla “Ecole des Beaux-arts” di Parigi, che spinse i suoi studenti a pensare al di fuori del solco della tradizione e a seguire le proprie visioni e le proprie emozioni. Matisse, uno dei grandi artisti del ventesimo secolo, partiva dalla raffigurazione della realtà per trasformarla in forme semplificate e appiattite attraverso l’uso “selvaggio” del colore”, cioè una gamma cromatica sganciata dal riferimento naturale. Fauves significa appunto bestie selvagge.

L’incontro con l’arte di Matisse segna profondamente l’evoluzione artistica di Giannetto Magrini che nel 1962 va a Parigi alla scoperta dei più importanti musei e collezioni d’arte della capitale francese. E proprio in quegli anni comincia il suo percorso eseguendo i primi disegni figurativi, i primi dipinti e le prime sculture. Magrini è affascinato dalla ricerca e da nuove forme espressive. Nel 1966-67 realizza le prime composizioni sperimentali, cioè le digitografie, una specie di anticipazione di quello che sarà lo sviluppo tecnologico di fine millennio.

Nel 1967 si lancia nelle opere informali che chiamerà “Strutture immaginifiche”. Con questi particolarissimi lavori partecipa al Premio Marche che si è svolto in quello stesso anno ad Ancona. Si impone all’attenzione del pubblico e della critica con una serie di ritratti immaginari.

Giannetto Magrini ha voglia di conoscere e scoprire nuovi percorsi artistici: nel 1970 va a Barcellona per visitare il Museo Picasso dove sono conservate 400 opere del Maestro ancora in vita. Qualche anno dopo è a Londra dove, nel museo di scienze naturali, scopre gli ingrandimenti metallici di strutture cellulari. Dopo quel viaggio comincia a dipingere opere su fondo nero, una specie di viaggio nell’ignoto alla ricerca del mistero e del miracolo della nascita della vita.

All’inizio degli anni Ottanta Giannetto Magrini ha una sua precisa identità ed è ormai un artista in grado di tracciare strade innovative, sempre nell’ambito della sperimentazione, della ricerca e delle avanguardie. Individua nuove tecniche e realizza opere materiche di impostazione archetipica-informale. Si dedica anche alla scultura e propone alcune opere in marmo.

Nel 1983-84 scopre per caso vecchi modelli da fonderia, in legno, utilizzati da una fabbrica di macchine agricole di Jesi. Li acquista in blocco e li assembla a suo modo realizzando una serie di originalissime sculture.

Con il passare degli anni nell’arte di Magrini emergono anche l’attenzione, l’interesse e l’impegno verso il sociale. Dipinge quadri di grande formato sui temi di attualità, come ad esempio l’immigrazione clandestina. Nel frattempo partecipa a Mostre personali ed eventi culturali suscitando sempre attenzione, curiosità e interesse. Negli ultimi anni, un po’ in controtendenza con lo sviluppo tecnologico, punta la sua attenzione sul libro cartaceo. Realizza alcune opere assai significative che espone in una ex Chiesa nel cuore della vecchia Jesi, proprio accanto a un museo dell’arte tipografica. Per Magrini il libro resta il perno del sapere e della cultura e rifiuta l’idea che la tecnologia, l’elettronica e i nuovi strumenti di comunicazione possano trasformarlo in una specie di feticcio. Quasi un percorso alla rovescia per un artista che è stato un innovatore, un precursore dei tempi e un esploratore del nuovo. In realtà gli anni che passano non hanno affatto affievolito la sua sete di ricerca e presto lo scopriremo su nuovi fronti che possano soddisfare e assecondare la sua smania infinita di conoscenza.                  


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